Alessandro Bonato a soli 28 anni ha un curriculum copioso e invidiabile. Debutta nel 2016 e si imponegiovanissimo all’attenzione internazionale conquistando il terzo premio alla Malko International Competition di Copenhagen nel 2018. Dirige numerose orchestre in Italia e all’estero. E’ stato al Teatro Filarmonico di Verona nel 2019 con una produzione di Gianni Schicchi di Puccini oltre ai due capolavori di Cimarosa “Il Maestro di cappella” e “Il Matrimonio segreto”. Debutta all’Arena di Verona il 24 giugno 2023 al 100° Opera Festival con la direzione della prima de “Il Barbiere di Siviglia” (https://www.5starselitemagazine.it/barbiere-di-siviglia/) È impegnato nella divulgazione musicale sui social media, una pratica che sviluppa durante il lockdown e che è molto apprezzata per originalità e competenza. 

Alessandro Bonato

“Alessandro, ha iniziato a suonare all’età di 11 anni. Cosa l’ha spinta ad avvicinarsi alla musica”?

La mia maestra delle elementari di storia e geografia che aveva l’uso di mettere le 4 stagioni di Vivaldi come sottofondo in classe quando facevamo i compiti.

Mi sono innamorato di questi concerti e ho voluto imparare a suonare il violino con l’obiettivo di eseguire le stagioni. Mi sono iscritto ad una scuola media ad indirizzo musicale e dopo un anno sono entrato al conservatorio Dall’Abaco di Verona dove mi sono appassionato. 

“Perché la scelta di dirigere?”

La direzione d’orchestra ce l’ho avuta fin da piccolo quando dirigevo con la matitina nell’aria. Mi avevano regalato un giranastri tascabile e ascoltavo con le cuffie e ascoltavo le 9 sinfonie di Beethoven dirette da Karajan che all’epoca, avevo circa 9 anni, non sapevo nemmeno chi fosse. Mi è rimasta la passione e ho finalizzato i miei studi alla direzione d’orchestra. 

“Perché violino, viola e viola barocca”?

Sono due strumenti diversi, il violino canta e la viola accompagna. 

Viola barocca. Ho fatto un master in questo strumento originale ed antico, con corde di budello e arco barocco, da suonare con la prassi esecutiva del sei, settecento. Cambia lo strumento ma anche la tecnica e il modo di interpretate la partitura, basandosi su trattati per capire quali erano gli usi e le convenzioni dell’epoca. Spesso si afferma, facciamo quel che è scritto così siamo fedeli all’autore; non è così, specialmente quando si va indietro nel tempo. 

Allora scrivevano pochissimo e tante cose erano di prassi. E’ come se a fianco di un semaforo vedessimo un cartello con scritto quando c’è rosso fermati. Non è scritto perché la prassi vuole che quando c’è rosso ci si ferma e quando c’è verde si prosegue.  Questo è lo studio della prassi esecutiva, capire cosa si faceva senza bisogno che venisse scritto perché era di uso e costume farlo”.

“Parliamo dell’importanza della partitura”

E’ la base di partenza; prima di mettere del proprio bisogna capire cosa sta scritto, altrimenti non è interpretare ma inventare. Il compositore ha scritto quello che voleva venisse eseguito. Bellissime le lettere di Verdi dove si arrabbia quando fanno delle variazioni sulla sua musica: voglio che la mia musica sia eseguita esattamente come io l’ho scritta, affermava. Questo è il punto dal quale io parto. Più si va indietro nel tempo il fatto di eseguire solo quello che sta scritto in partitura è sbagliato perché c’erano delle cose di prassi esecutiva come ho già evidenziato.

“Ha parlato di prassi, c’è differenza con la tradizione?”

Prassi è qualcosa che si faceva senza bisogno che fosse scritto. Tradizione vuol dire piego la musica al mio volere. Sono due cose diverse. Personalmente evito per quanto possibile la tradizione a meno che non si tratti di cose veramente necessarie. Dopo è logico che ognuno di noi è esecutore ma anche interprete e filtra quello che vede attraverso le proprie esperienza di vita, conoscenze, emozioni; la sensibilità di ognuno va in qualche modo a modificare leggermente quello che sta sulla partitura altrimenti avremo tutto uguale. 

“Ci parli delle sue esperienze sul palcoscenico”.

Tenere a bada tutti assieme è più difficile. Ogni entità, orchestra, cantanti e coro, ha delle sue peculiarità con esigenze diverse.

Il cantante ha bisogno che il direttore respiri con lui, perché bisogna seguirlo; tendo a non imporre del tutto i miei tempi al cantante perché ogni corpo è diverso da un altro per cui c’è un cantante che ha bisogno di fare una coloratura leggermente più veloce, un altro che la deve fare leggermente meno, uno che appoggia un po’ di più o di meno, bisogna capire chi si ha davanti e costruire la musica anche su di loro. Ecco perché la partitura va interpretata. La musica non è un valore assoluto va con le persone che si hanno davanti.

Il coro ha bisogno di un grande anticipo sul gesto perché avendo molta distanza, sono magari in 80, hanno bisogno di respirare tutti 80. Hanno bisogno di un gesto più in anticipo e molto più energico in maniera che possano vederlo.

L’orchestra ha altre problematiche. Bisogna riuscire a capire i modi per aiutare ognuno di loro. Il direttore non è il capo dell’orchestra, ma è al servizio della stessa. Orienta, motiva per fare in modo che ognuno dia il massimo.

“Cosa pensa della gestualità”?

Deve essere a modo. Non sono lì per fare uno show, ma per dirigere. Mi piace la direzione elegante; la musica è nobile, anche se buffa o drammatica ha sempre una sua nobiltà e questo secondo me si deve vedere anche attraverso il direttore d’orchestra che non deve avere una gestualità esagerata; dev’ essere  proporzionata alla musica. 

“Quali compositori predilige”?

Mozart, Verdi e Tchaikovsky. Con Rossini c’è una frequentazione lunga, un flirt che dura da anni perché ho mosso i primi passi come direttore al Rossini Festival. Ho respirato a casa di Rossini, sono stato nelle sue terre, sono cresciuto anche con la fondazione Rossini. Conoscendo i più grandi interpreti, mi sono fatto un mio gusto personale e proprio questa guerra che sto facendo contro la tradizione specialmente in Rossini la sento profondamente.

Con Verdi il maestro Muti ha insistito nel dire che bisogna rispettare quello che l’autore scriveva, in Rossini, purtroppo, non è ancora così. Si tende sempre a voler aggiungere o modificare quello che è scritto perché la tradizione vuole così. No, Rossini la musica la conosceva perfettamente e tra l’altro era molto dettagliato su quello che scriveva; non mette solo allegro, moderato o adagio, lui declina gli allegri in relazione all’effetto; mette otto, dieci tipi di allegro diversi per far capire quanto ci tenga a identificare ogni tempo. 

“Ha davanti un percorso lungo e ambizioso. Programmi”?

Nell’immediato ho diverse cose da fare, il Requiem di Verdi in apertura della stagione estiva di Santa Cecilia, sto lavorando con la sinfonica siciliana, aprirò la stagione invernale a Verona con l’Amleto di Franco Faccio, prima italiana di questo compositore veronese. Lavorerò poi con la Toscanini, Orchestra Hydn. Vedremo cosa mi riserverà il futuro. Un cosa è certa, da direttore studio sempre per arrivare estremamente preparato agli appuntamenti musicali