Ormai i termini “Moda Sostenibile”sono ampiamente usati ( ed in certi casi abusati), ma quando ho iniziato a trattare la CSR ( Corporate Social Responsibility) nel 2012, in Italia ( ed in gran parte del mondo) eravamo davvero pochi seduti ad un tavolo di lavoro cercando alacremente le soluzioni più incisive per fare proselitismo sulla materia ben consapevoli che su base 100 pochi ci avrebbero dato ascolto.

Ma cosa è la sostenibilità?

La sostenibilità venne definita per la prima volta nel 1987 nel cosiddetto Rapporto Brundtland – dal titolo “Our common future”-  ed è un documento pubblicato dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo in cui, per la prima volta, venne introdotto il concetto di sviluppo sostenibile ossia come la condizione di uno sviluppo in grado di “assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

Parole come Stakeholder (letteralmente prenditore di interessi), matrice di materialità ( analisi che incrocia, in termini di rendicontazione di sostenibilità, gli aspetti considerati materiali ossia quelli che  hanno un impatto sulle performance economiche, sociali e ambientali della azienda con quelli ritenuti rilevanti nei processi di decisione degli stakeholder), supply chain ( catena di fornitura e distribuzione), inclusività,  riduzione di emissioni di carbonio, scope 1, 2,e 3 erano termini sconosciuti, eppure oggi parlare di sostenibilità è di “moda” quasi a pensare che se non ne parli sei out.

Se sono contenta che dopo tanto lavoro di diffusione della cultura “sostenibile” oggi se ne parli tanto? Si sono contenta ed anche soddisfatta anche se la sostenibilità spesso viene accomunata al green, ma quest’ultimo aspetto è solo una parte in quanto non si tratta solo di salvaguardare l’ambiente, ma ha un significato più globale che tiene conto, anche degli aspetti economico e sociale, aspetti che devono essere indivisibili e combinati gli uni con gli altri in modo da creare la sinergia orientata alla crescita del progresso e del benessere globale.

Nello specifico, quasi a voler pensare ad un gioco di parole, la Sostenibilità è di Moda, ma cosa significa Moda Sostenibile?

Il consumatore è più cosciente ed informato e non si accontenta solo del capo da indossare, ma vuole sapere come questo capo viene prodotto, se sono stati salvaguardati gli Human Rights dei lavoratori e se la creazione del capo non ha contribuito a deteriorare l’ambiente.

La moda sostenibile è quella moda che rispetta l’ambiente e la società contribuendo alla crescita economica della società che paga i salari dei dipendenti con grande attenzione al loro benessere in un’ottica di work life balance, di pari opportunità non solo gender, ma anche age e formazione aziendale necessaria per aumentare la crescita professionale del team.

La moda sostenibile deve operare secondo i criteri ESG (Environmental, Social, and Corporate Governance )in tutte le fasi dalla creazione, dalla scelta dei materiali, alla produzione fino alla distribuzione e retail.

I materiali sono meno inquinanti, vi è un’attenzione alla riduzione degli sprechi come l’acqua e l’elettricità, il maggior uso di energie rinnovabili, lo smaltimento rifiuti è condotto usando un’operatività che non inquini l’ambiente favorendone il riciclo e soprattutto incoraggiando il consumo consapevole da parte del cliente finale.

Negli ultimi anni lo studio e la messa a punta di nuovi processi produttivi più efficienti e neotecnologie nonché di tessuti innovativi creati addirittura dalle fibre del latte, hanno contribuito a costruire le fondamenta di questo sistema che ad un certo punto si è dovuto fermare a causa della pandemia da Covid 19, alla quale nessuno era preparato.

Le aziende che hanno investito e investono sulla moda sostenibile a minor impatto ambientale stanno fronteggiando una crisi economica non preventivata e per certi versi “subdola” perché è stata messa in discussione la salute mondiale; laddove in alcune zone del mondo, dove la produzione di capi di abbigliamento ed il reperimento di materie sostenibili non sono regolati da norme specifiche sulla tutela dell’ambiente, la salute di molti essere umani è già stata danneggiata 

L’obiettivo 8 dell’Agenda 2030 sostenibile è “incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti”; eppure la produzione di capi d’abbigliamento, venduti poi a costi bassissimi, avviene in paesi in cui non vengono garantiti salari minimi, condizioni di lavoro accettabili, con ricorso a sfruttamento e abusi e in molti casi anche di minorenni.

Inoltre, la moda sostenibile ha riportato in auge la tradizione artigiana, dell’homemade, della manodopera locale, risorse che negli ultimi anni sono state ahimè accantonate e sostituite da manodopera sottocosto che realizza capi standardizzati e di pessima qualità.

L’Italia è una terra foriera di botteghe e laboratori artigianali, nei quali si tramandano le conoscenze da generazione a generazione, i quali portano il marchio del Made in Italy in tutto il mondo laddove si possono acquistare capi unici ed esclusivi spesso ad un costo “sostenibile”. Per ultimo va ricordato che recentemente la Camera Nazionale della Moda Italiana è stata la prima associazione a stipulare una partnership con le Nazioni Unite per i Sustainable Fashion Awards , gli Oscar della moda sostenibile che verranno consegnati l’anno prossimo alle aziende il cui impegno farà la differenza nella creazione del valore condiviso sviluppando il mercato di riferimento.

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